lunedì 26 gennaio 2015

Er poeta de Roma (2)

Nel precedente post ho inserito la foto del bassorilievo nel retro del monumento a Giuseppe Gioachino Belli. Mi piaceva mostrare un aspetto del monumento al quale normalmente non si fa caso. Inoltre la raffigurazione di popolani intorno alla statua di Pasquino sembra dirci che il Belli era il Pasquino della sua epoca.
Non si può trascurare, però, la parte anteriore con le due fontanelle che versano acqua in piccoli bacini da due volti che significativamente vogliono rappresentare la poesia e l'ironia. Ed è questo ciò che il Belli ha fatto nella sua opera monumentale dei sonetti romaneschi.





A sostegno della verità di quest'asserzione voglio riportare dei sonetti; i primi due sono di satira politica mentre gli altri due mostrano un aspetto di vita. Questi ultimi, anche se molto volgari, esprimono però gioia di vivere: il sesso diviene poesia e si fa persino opera pia!
(Ad eventuali lettori: se certe rappresentazioni sessuali disturbano il senso del pudore, meglio saltare completamente gli ultimi due sonetti. Mi scuso in anticipo ma il Belli è anche questo).


L'UPERTURA DER CONCRAVE

    Senti, senti Castello come spara!
Senti Montescitorio come sona!
È sseggno ch'è ffinita sta caggnara,
E 'r Papa novo ggià sbenedizziona.

    Bbe'? cche Ppapa averemo? È ccosa chiara:
O ppiù o mmeno, la solita canzona.
Chi vvòi che ssia? Quarc'antra faccia amara,
Compare mio, Dio sce la manni bbona.

    Comincerà ccor fà aridà li peggni,
Cor rivotà le carcere de ladri,
Cor manovrà li soliti congeggni.

    Eppoi, doppo tre o cquattro sittimane,
Sur fà de tutti l'antri Santi-Padri,
Diventerà, Ddio me perdoni, un cane.

                              2 febbraio 1831
LA SCECHEZZA DER PAPA

No, ssor Pio, pe smorzà le trubbolenze,
questo cqui nun è er modo e la maggnera.
Voi, padre Santo, nun m’avete scera
da fà er Papa sarvanno l’apparenze.
             
     La sapeva Grigorio l’arte vera
de risponne da Papa a l’inzolenze:
vonno pane? mannateje innurgenze:
vonno posti? impiegateli in galera.
             
     Fatela provibbí st’usanza porca
de dimannà ggiustizzia, ch’è un inzogno:
pe ffà ggiustizzia, ar piú, bbasta la forca.
             
     Seguitanno accusí, starete fresco.
Baffi, e gnente pavura. A un bèr bisogno
c’è ssempre l’arisorta der todesco

   2 Gennaio 1847



Santaccia de Piazza Montanara I

Santaccia era una dama de Corneto
da toccà ppe rrispetto co li guanti;
e ppiú cche ffussi de castagno o abbeto,
lei sapeva dà rresto a ttutti cuanti.

     Pijjava li bburini ppiú screpanti
a cquattr’a cquattro cor un zu’ segreto:
lei stava in piede; e cquelli, uno davanti
fasceva er fatto suo, uno dereto.
             
     Tratanto lei, pe ccontentà er villano,
a ccorno pístola e a ccorno vangelo
ne sbrigava antri dua, uno pe mmano.
             
     E ppe ffà a ttutti poi commido er prezzo,
dava e ssoffietto, e mmanichino, e ppelo
uno pell’antro a un bajocchetto er pezzo.

12 dicembre 1832



Santaccia de Piazza Montanara II

  A pproposito duncue de Santaccia
che ddiventava fica da ogni parte,
e ccoll’arma e ccor zanto e cco le bbraccia
t’ingabbiava l’uscelli a cquarte a cquarte;
            
     è dda sapé cc’un giorno de gran caccia,
mentre lei stava assercitanno l’arte,
un burrinello co l’invidia in faccia
s’era messo a ggodessela in disparte.
             
     Fra ttanti uscelli in ner vedé un alocco,
«Oh», disse lei, «e ttu nun pianti maggio?» 
«Bella mia», disse lui, «nun ciò er bajocco».
             
     E cqui Ssantaccia: «Aló, vvièccelo a mmette:
sscéjjete er búscio, e tte lo do in zoffraggio
de cuell’anime sante e bbenedette».

12 dicembre 1832




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